La nostra cascina alle porte di Pavia si trova in una zona tradizionalmente votata all’agricoltura da secoli.
Le prime sperimentazioni risicole sembrano risalire al XVI secolo al tempo di Gian Giacomo Trivulzio, marchese di Vigevano.
Nel Settecento il podere faceva parte di un’area denominata Campagna soprana Pavese.
L’allora governo decise una serie di riforme catastali e agrarie.
Nelle mappe per ciò disegnate, bellissimi acquarelli di valore artistico, conservati negli archivi cittadini, il territorio di Villalunga compare destinato già allora a coltivazioni agricole, prati e risaie.
I nomi di alcune rogge, da cui prendere acqua pulita, e cascine confinanti sono rimasti inalterati nel tempo.
I terreni lavorati dalla nostra famiglia e dalle generazioni precedenti sono ricordati in un lontano documento del 1817 e ancor oggi la cascina reca le tracce di antichi affittuari e patroni.
In un contratto di acquisto steso in un caldo venerdi di luglio del 1842 si cita per la prima volta la nostra cascina con corte e vignolo (cioè piccolo vigneto): è la stessa aia dove oggi si svolgono alcune parti della lavorazione del riso, dove si conservano attrezzi e macchinari, dove vivono alcuni di noi, in compagnia di un passato che ai nostri occhi ha ancora valore e merito.
Sotto il portico grande della nostra cascina, un ritratto in altorilievo su una terracotta rossa rotonda commemora la figura di monsignor Gaetano Opizzoni (1768-1849): di nobile famiglia pavese l’arciprete ricoprì importanti cariche ecclesiastiche nella diocesi di Milano (amministratore della Fabbrica del Duomo, conservatore alla biblioteca Ambrosiana) dedicando tutta la sua esistenza ad opere caritative di soccorso ai poveri. La presenza di un secondo altorilievo poco lontano sembra ricordarci che anche questo complesso rurale fu oggetto delle sue attenzioni pastorali.
È nel rispetto dello spirito di quei tempi e di quella tradizione genuina che ancora oggi noi lavoriamo.
Fonte: “Il sole 24 ore”, articolo del 29 ottobre 1989 di Maria Amelia Zilocchi